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Bilancio degli anni trascorsi a Maggiano e riflessione sul presente
I: Senti Mario, quarantacinque anni dedicati all’Ospedale psichiatrico di Maggiano, una cosa importantissima, ti hanno reso felice?
T: Sono domande quasi..., mah, ‘un te lo so dire; il tempo è passato e l’altro giorno dovetti accompagnare uno dentro perché voleva vedere qualche cosa sulla 180, per fare un articolo, e, accidenti, rivedere tutte le stanze, dove ho passato la vita, la vigilanza, e me ne ritornai mogio e ferito, perché c’eran tutte le malate, uguale come prima, col delirio tale e quale, ma vecchie. [...]Come sono cambiati i pazienti psichiatrici
- Tobino: Questi spettacoli, questi atteggiamenti della follia che si manifestava così pura, così limpida, oggi non ci sono. A quel tempo con i malati si comunicava relativamente e in certi momenti, invece oggi con gli psicofarmaci ci si può parlare, oggi possono passeggiare, girare fuori.
- Giornalista: Oggi addirittura fanno un giornale, ho visto. [...]E una “libera donna di Magliano” aspetta ancora il professor Tobino
Gli effetti degli psicofarmaci
T: E mi balenò, ecco mi balenò: «Ma allora questo carrello, che io chiamavo del beneficio, del bene, non è mica un carrellino delle torture, che tolgono la personalità al malato di mente?». E che cosa c’è di più bello e forte di un uomo dell’essere personale, di quello che lui ama, i proprio deliri e mi vennero degli interrogativi che si fecero sempre più fondi.
I: Ecco Mario, scusami, credo di aver capito che lo psicofarmaco, per te, rappresenta un momento buio, diciamo, dello sviluppo della medicina psichiatrica. [...]Il giardino di Maggiano
- Giornalista: Questo è il cortile sul quale affacciava la tua camera di primario dell’Ospedale di Maggiano.
Tobino: E dove udivo la notte i malati, che urlavano, e gridavano i loro deliri, specie d’estate perché aprivano le finestre per il caldo. [...]Il giornale di Maggiano
- Presentatore: E’ difficile stimolare a scrivere chi ha perduto la propria identità; ma fare un giornale può essere importante per i ricoverati degli ospedali psichiatrici, perché il malato è così spinto a collegare pensieri e ricordi, speranze e desideri. Oggi questo è possibile grazie alle nuove terapie: il malato di mente può riflettere e anche scrivere sulla propria condizione. Vediamo un esperimento, quello dell’Ospedale Psichiatrico di Maggiano – Lucca, al cui interno è stato creato un clima di vita sociale.
- Luciano (degente): L’Ospedale psichiatrico fin dai primi tempi antichi ha sempre avuto le sbarre: infatti le sbarre erano presenti in qualsiasi reparto. Solo nel nostro moderno reparto di Osservazione Uomini le sbarre sono state abolite, in parte. L’abolizione parziale nell’Osservazione Uomini è stata una bella cosa, ma non è detto che alle finestre senza sbarre non vi siano altri accorgimenti. Secondo me le sbarre per un ammalato mentale che trascorre una parte della sua vita in ospedale hanno un significato preciso: pare ci si trovi in luoghi di punizione. In me, in particolar modo, oltre che sembri un luogo di punizione, mi fanno venire una certa tristezza nella persona. Luciano. [...]Il ritorno delle suore in corsia
Lo riconosciamo tutti: è Mario Tobino, scrittore famoso, ma per tanti anni direttore dell’Ospedale Psichiatrico di Magliano – Lucca. Intervenendo sulle carenze che contraddistinguono il settore sanitario Tobino ha lanciato una proposta destinata a far rumore e che si richiama alla sua esperienza clinica condotta negli anni passati. “Vorrei che in corsia – ha detto Tobino – tornassero le suore, e i malati potessero conoscere la loro dedizione. Certe cose – ha detto ancora lo scrittore – non si potranno mai ottenere pagando”. Tobino dall’alto dei suoi anni ricorda nostalgicamente i tempi andati, in cui le suore dedicavano all’attività sanitaria anche dodici ore – quindici ore al giorno e le infermiere non potevano sposarsi. La verità è comunque che ora la cosiddetta crisi delle vocazioni – fanno osservare taluni – renderebbe impossibile questo ritorno ai tempi di Tobino.
[...]L'amico dei matti
L'ospedale di Tobino
La chiusura degli ospedali psichiatrici, La follia non abita più qui (puntata 71)
Io non l’aspettavo, non credevo che venisse, sinceramente non pensavo che vincessero i novatori! Sono io stato lo sconfitto!
E una mattina però il segretario Panelli dell’Ospedale psichiatrico di Lucca: “Guardi che c’è questa legge” –dice – “E com’è? Mi dica qualche cosa all’incirca” – “Chiudono gli ospedali psichiatrici!” – dico – “Si!” – “Dopo il 31 Dicembre non potranno più rientrare”. Subito mi apparve la Fidelia, una malata che avevo incontrato poche ore prima che è alta forte, una Diana Cacciatrice, quando ha delle crisi maniache cioè maniaco-furore ci volevano gli uomini per trattenerla. Gli dura dieci, quindici giorni e poi ritorna una donna tenerissima e sta anche dodici mesi, quattordici, diciotto senza più ammalarsi e lavora in una trattoria, è brava ed è amata da tutti. “E se non può ritornare per questi quindici-venti giorni?” Mi dicevo mentre camminavo solitario fuori dall’ospedale, mi sentivo così solo e ormai sorpassato, ormai giustamente come qualcheduno ora mi dice reazionario. Dicono quel che vogliono ma la Fidelia? Poi che cosa succede? Oh facile previsione! Oh triste e facile previsione! Successe che gli capitò, fu dimessa come sempre, gli capitò il periodo di furore e fece delle violenze e fu arrestata, dopo quindici giorni che cosa? La mandano al manicomio criminale e quando ritorna sana, ritorna come noi tutti e forse anche migliore, anche più tenera, anche più dolce come io l’ho conosciuta. Si trova tra i delinquenti! Ma questa è umanità? Ma questa è cristianità? Ma questa è verità? Ma questa è scienza? ma questa è virtù? Questa non è vero che è incompetenza, disavvedutezza? Scusate se leggermente mi altero e l’ira mi gonfia le mie vecchie arterie, ma così dovevo rispondere! [...]La follia e la società, La follia non abita più qui (puntata 71)
Le strutture intermedie affidate a quel territorio che sembrava contenere automatiche competenze terapeutiche restano inesistenti o inadeguate mentre migliaia di famiglie sono costrette a improvvisarsi come luoghi principali di assistenza e terapia. Conteso tra un’ideologia che ha preferito vederlo soltanto come un ribelle e una psichiatria tradizionale nei metodi e arretrata nella ricerca, il malato di mente oggi non è né assistito né protetto, né tantomeno curato.
T: Dicono che la società ha prodotto la follia e la società se lo deve riprendere. Mai capito chi sia questa società! Forse è lei? Forse è quel signore lì che è stato operato e che dovrebbe fumare meno? Qual è questa società? Io so, so che uno schizofrenico, un vero malato, un malato schizofrenico che è imprevedibile, quello che è per fare, può essere dolce, può essere innocente, sereno, può essere violento, può essere di estrema impudicizia oppure può essere così incomprensibile sempre. Come può stare oggi in una casa quando è veramente malato? In una casa, specialmente delle città che sono degli alveari? [...]La legge 180 e la chiusura dei manicomi
I: Senti Mario, uno dei momenti più critici, più tristi, hai considerato tu, sotto l’aspetto dei manicomi e della gestione dei manicomi è stata l’entrata in vigore della Legge 180.
T: Sì, questo, ricordo che mi sembrava impossibile. [...]La legge 180 e le ripercussioni sulle famiglie
I: L’applicazione della 180 ha creato dei traumi nelle famiglie?
T: Dei fortissimi dolori, perché quando arriva il matto in casa, non c’è mica solo lui: c’è il bambino, c’è il nonno, c’è il parente, ci sono i vicini di casa… [...]La legge 180 per le famiglie dei malati psichiatrici
- Giornalista: Io ho detto all’inizio che tu hai trascorso quaranta anni della tua vita qui.
- Tobino: Si, è vero. [...]La predisposizione di Tobino
Queste due stanzette sembrano richiudere tutta una vita, ogni oggetto è carico di ricordi, dai ritratti delle persone amate, ai libri degli scrittori prediletti: Dante, Boccaccio e Machiavelli, Dino Compagni. Nella piccola stanza da letto il ritratto della madre che ci ricorda il libro forse più bello di Tobino La brace dei Biassoli, dedicato a lei. Un libro cui solo la lettura le restituisce il giusto valore.
T: La ragione che io avessi una disposizione a fare lo psichiatro…lo psichiatra è certamente vera, vero? Sin dall’università io avevo disposizione a stare attento ai moti degli animi, non agli affari altrui ma al movimento dei pensieri, a leggere al di là della fronte. Mi veniva spontaneo, vero? A partecipare anche, immedesimarmi e questo certo mi ha favorito per stare lì! [...]La vita nel manicomio
I: Ecco Mario, la vita all’interno dell’Ospedale Psichiatrico prima dell’avvento degli psicofarmaci come si svolgeva?
T: Ogni Ospedale ci aveva il suo. Io devo dichiarare che sono stato al Manicomio di Ancona, esempio di dignità, gentilezza marchigiana; era stato diretto e organizzato dal Prof. Modena, che era un allievo di Grebb, uno dei più grandi psichiatri che è esistito nel mondo. E’ lui che ha classificato le malattie mentali. E quindi ogni malato era trattato con attenzione, secondo le sue qualità, il suo furore, la sua volontà, il suo pericolo di uccidersi ecc ecc. [...]La vittoria, Il rovescio della medaglia
Io non amo queste intrusioni continue della psicanalisi, il popolo è profondamente sano, la domenica c’è il sole, si vive nella natura, allegri, c’è l’emulazione, la lotta, è sempre stato così. Forse che a Epidauro che c’erano le gare, che facevano? In Grecia le donne erano nude, gli uomini si battagliavano, si facevano le gare. È una cosa bellissima, a tutti piace vincere, anche a noi italiani che che se ne dica. Vincere, non stravincere, ma vincere è bello. I giovani, specie i giovani vogliono vincere. Ma chi è che vuole perdere? L’uomo vuole vivere, non morire; purtroppo poi c’è l’ala fredda, ma è giusto. La vita è bella, la vita è una gioia, specie per i giovani. Quindi è un’esplosione: “abbiamo vinto!” E poi c’è la ricompensa, poi c’è tutto anche stavolta nello sport…poi c’è da ricordarsi che in queste gare delle squadre di calcio è una squadra, adesso è di moda dire è un equipe, quindi ripete un po’ quello che è dentro la fabbrica: tutti insieme, c’è la collaborazione, e quasi quasi il pubblico, gli intenditori, si sentono di collaborare con l’allenatore. La vittoria della squadra è anche la vittoria loro di tutti i discorsi che hanno fatto durante la settimana: – “mettiamoci questo in porta” – “no ci vuole...ah, che ha detto il Brera?” – “il Brera su Il Giorno ha detto”...“mentre invece il Ghirelli sul Corriere della Sera”…e lì discussioni; e quindi si sentono...fanno parte: quasi tutta la massa del pubblico fa parte della squadra di calcio, è un organismo, è una cosa bella.
[...]L’aneddoto di Kraepelin
Diverse volte mi è capitato: “Ma come nel corso della...ma come hai fatto trentacinque anni a stare coi matti?” – dicono – “Ma sarai mica un po’ matto anche te?” Chi è medico di manicomio... gli rimane questo sigillo e poi chissà!
Diceva Kraepelin che uno che sta con i malati di mente ogni cinque anni ne acquista un grano. E non so se i grani per arrivare alla completa follia sono molti! E io sono già pressoché a sette grani! Quindi se in quest’ora ho detto qualche sciocchezzuola sarò perdonato, vero? [...]Magliano addio
Manicomio Italia